Il filosofo Jean-François Lyotard ha introdotto l’idea del “sublime negativo”, legato alla Shoah, come una forza devastante che annienta ogni possibilità di misurazione e rappresentazione.

Il dibattito intorno all’irrappresentabile del vissuto delle vittime ha coinvolto tutti noi ed ha avuto un eco sul cinema, sull’arte, letteratura e cultura visiva.
La crudeltà nazista ha causato un abisso di malvagità che lascia l’individuo muto e confuso. L’orrore della Shoah è così grande da esaurire ogni capacità espressiva.
Significativa è l’opera di Zoran Music, un artista sloveno che viene arrestato dalla Gestapo per ragioni politiche. Non è ebreo! Messo davanti alla scelta di entrare nei reparti istriani delle S.S. o essere deportato in Germania, Music preferisce il lager. Alla fine di novembre 1944 viene registrato come prigioniero numero 128231 di Dachau. Lì comincia un lungo calvario che si concluderà solo con la liberazione del lager ad opera degli americani alla fine dell’aprile ’45. A Dachau riesce a realizzare in segreto una serie di disegni che fissano sulla carta le atrocità quotidiane alle quali assiste nel campo di concentramento nazista. “I cadaveri si trovano dappertutto”: raccogliere le testimonianza di quanto vedeva era per lui l’unico modo per sopravvivere e salvare la sua integrità umana.
I soggetti di Dachau sono due: Music vede solo cataste di morti e uomini a un passo dalla morte. A Dachau l’esperienza visiva quotidiana era questa e non altre: la morte come normalità (mucchi e carcasse di morti in attesa della cremazione) e il Muselmann, ossia il malato terminale.
Lo stesso Primo Levi ne “I sommersi e i salvati” fa dei Muselmanner l’essenza del lager: “La loro vita è breve ma il loro numero è sterminato; sono loro i Muselmanner, i sommersi, il nerbo del campo; loro, i non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente si esita a chiamarli vivi, si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non tremano perché sono troppo stanchi per comprenderla”.
Dei Muselmanner Music ci dà una descrizione vivida e impressionante: uomini con arti che appaiono smisurati, chiusi in una disperazione senza confini, pelle e ossa dove la vita sta per andarsene in un silenzio che nessuno può accogliere, giovani ridotti a vecchi senza tempo. Con amarezza constatiamo che Music ha intitolato il ciclo di Dachau “Nous ne sommes pas le derniers” (“Noi non siamo gli ultimi”), perché l’orrore dei campi di concentramento e il lungo inverno dei genocidi dopo il ’45 si sono ripetuti troppe volte.
Sofia Rigoglioso
Matilde Muscarello
Elisa Barone
Silvia Sagrì




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